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Due passi nell’Arte

DUE PASSI NELL’ARTE

Giorgione, Pala di Castelfranco.

Con questo articolo diamo avvio ad una nuova rubrica mensile, Due passi nell’arte, il cui intento è di introdurvi ad alcune opere d’arte e architetture presenti nel territorio, con l’auspicio di rendere il giusto omaggio a questa splendida terra Veneta.

Partiamo oggi con un’opera straordinaria, conservata all’interno del Duomo di Santa Maria Assunta e San Liberale nella cittadina di Castelfranco Veneto, realizzata da un’artista di grande spessore, Giorgione da Castelfranco.

Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di comprendere il contesto storico e politico all’interno del quale l’opera di Giorgione prende forma. Ci troviamo all’inizio del XVI secolo, agli albori della Controriforma, la Chiesa di Roma inizia a riaffermare la propria egemonia a Roma e nell’intero territorio italiano, a seguito delle pesanti accuse mosse da Lutero riguardo i corrotti costumi delle cerchie ecclesiastiche e in antitesi ai valori terreni proposti dal Rinascimento.

Nelle altre città della Penisola è ancora forte l’eco del Rinascimento che, a partire dalla città di Firenze, diffonde il proprio gusto e si rafforza fino a raggiungere il massimo splendore con artisti del calibro di Leonardo da Vinci, Michelangelo Buonarroti e Raffaello Sanzio. Firenze aveva imposto un nuovo gusto estetico, basato su ideali di grazia e equilibrio, gusto in cui il disegno riafferma il proprio valore e si impone come nuova forma d’arte ricca di dignità. L’utilizzo di colori puri nella resa del paesaggio e degli incarnati di figure femminee dai volti quasi angelici, oltre a un uso consapevole delle nuove regole prospettiche, porta alla realizzazione di opere in cui la bellezza immateriale di volti e paesaggi si fa portavoce dell’ideale di integerrimo uomo rinascimentale professato a partire dagli inizi del Quattrocento.

Lontano dalle ricerche fiorentine si staglia Venezia, la cui potenza commerciale sul Mediterraneo assicura un nuovo periodo dorato caratterizzato da uno spirito vivace e cosmopolita, da libertà di costumi e pensiero e, non meno importante, dalla presenza di un ceto borghese ricco, dallo spiccato gusto umanistico e affascinato dallo stile rinascimentale proveniente da Firenze. Venezia si sa, è da sempre l’esempio di una convivenza di diverse culture e estetica che porta all’esaltazione di un collezionismo che mescola l’Oriente, con le opere bizantine, e il Rinascimento fiorentino, e che porta allo sviluppo di risultati del tutto peculiari. La produzione veneta abbandona in parte l’estremo interesse per una costruzione dell’opera su basi geometriche precise, per lasciar spazio al colore, si prediligono infatti ambienti naturali, costruzioni basate su un senso armonico e forme morbide e languide. Il colore definisce la profondità prospettica e psicologica del personaggi, ci permette di accedere al dipinto e di comprenderne l’atmosfera. Si parla dunque di Tonalismo.

Sul nascere di questo vivace contesto storico e artistico si inserisce l’enigmatica figura di Giorgione da Castelfranco, della cui biografia poco conosciamo, anche se possiamo affermare che la sua formazione sia avvenuta nella bottega di Giovanni Bellini, dal quale eredita la cura nella definizione del paesaggio. La formazione termina in territorio trevigiano, dove per l’appunto, all’interno del Duomo di Castelfranco Veneto, viene ospitata l’opera protagonista dell’approfondimento, La Pala di Castelfranco. 

Giorgione da Castelfranco, Pala di Castelfranco, 1500/1504, tempera su tavola, Duomo di Santa Maria Assunta e San Liberale, Castelfranco Veneto.
Giorgione da Castelfranco, Pala di Castelfranco, 1500/1504, tempera su tavola, Duomo di Santa Maria Assunta e San Liberale, Castelfranco Veneto.

Si tratta di una committenza privata, Costanzo Tuzio, condottiero della Repubblica Veneta, ne chiede la realizzazione per la cappella di famiglia, a seguito della morte del figlio Matteo. La costruzione del dipinto vede inscriversi in un triangolo in primo piano i tre personaggi principali: la Vergine con in braccio il bambino (al vertice) e due santi ai lati. San Nicasio vestito di una lucente armatura e reggente il vessillo con la Croce di Malta, e San Francesco il cui sguardo esce dallo spazio dell’opera e si rivolge all’esterno, forse direttamente allo spettatore. Il pavimento a scacchiera esalta questa costruzione triangolare e enfatizza il punto di fuga che coincide con la figura della Vergine dallo sguardo triste e seduta in trono, che probabilmente altro non è che un sarcofago sul quale possiamo vedere lo stemma araldico della committenza. Un drappo purpureo separa la scena principale dallo sfondo sul quale, alla sinistra della Vergine si stagliano le figure di due soldati a ricordo della morte in battaglia del giovane Matteo, mentre a destra rovine di paesaggio donano una dimensione umana. Il colore viene utilizzato per definire i volumi, nel paesaggio, ma anche nel panneggio della veste di Maria e nell’indagine dei diversi personaggi.

L’utilizzo di luci e ombre – con variazioni di tono di uno stesso colore – definisce gestualità e consistenze con una grazia straordinaria.

Federica Colle

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